Snapchat presenta i doc per lo sbarco in Borsa a 25 miliardi. Analisi di un fenomeno social

Dopo Facebook, Snapchat va in Borsa. L’app di messaggistica per millennial sarà il prossimo business tech a fare il suo ingresso a Wall Street. Le prime indiscrezioni spiegano che la startup aspira a una valutazione tra i 20 e i 25 miliardi. Mentre i più ottimisti come Bloomberg, parlano di una cifra vicino ai 40 miliardi di dollari.
L’affare sarà guidato da grossi gruppi bancari come Morgan Stanley e Goldman Sachs e coinvolgerà altri istituti finanziari, come Barclays e Credit Suisse, come svela Business Insider.
Snapchat, i numeri di un fenomeno
Sono 150 milioni gli utenti giornalieri dell’app, che cattura soprattutto un pubblico giovane. Secondo alcune analisi, come il report di eMarketer, la startup quest’anno ha guadagnato in pubblicità, il suo principale canale di revenue, una cifra che va dai 250 ai 350 milioni.
Secondo le stime degli analisti, nel 2017 Snapchat avrà un fatturato di circa 1 miliardo di dollari. Una cifra di tutto rispetto, ma ben al di sotto dei 25 miliardi a cui andrebbe quotata in Borsa.
L’ennesima bolla speculativa? No, secondo gli analisti, che premiano la capacità della startup di coniugare due aspetti, il software e l’hardware. Un esempio concreto sono gli Spectacles, uno tra i primi progetti che ha lanciato sul mercato. Si tratta di occhiali hi-tech che permetteranno agli utenti di girare video a mani libere, personalizzarli con immagini, e condividerli sui social.
Qualche giorno fa l’azienda ha svelato che venderà i suoi occhiali in distributori automatici, disponibili in un posto per non più di 24 ore. Il luogo scelto per il primo distributore dovrebbe essere Venice Beach.
Gli Spectacles saranno venduti a 130 dollari e vogliono riuscire dove i Google Glass di Google hanno fallito: diventare un prodotto di massa.
Snapchat, i dubbi sulla redditività restano
Malgrado le due diverse fonti di revenue potenziali, non è ancora chiaro come Snapchat potrà in futuro diventare veramente redditizia. I 25 miliardi sembrano troppi a tanti analisti che continuano sulla stampa a esternare i loro dubbi sulla capacità dell’azienda di aggredire nuovi mercati e fare business. In fondo nel 2014, appena due anni fa, l’azienda “festeggiava” i 60 milioni di fatturato. La sproporzione non passa inosservata.
I più ottimisti invece si focalizzano sui dati positivi. Secondo Forbes, dal 2014 a oggi i ritmi di crescita della startup si attestano sul 50% l’anno, raggiungendo utenti non solo negli Stati Uniti, dove c’è il blocco duro dei fedelissimi, ma anche in altre parti del mondo, come in Europa e nei mercati asiatici.
A complicare la faccenda ci sono poi i cattivi risultati di Twitter che in Borsa non è mai decollata. Le performance dal di sotto delle aspettative del social dei cinguettii hanno frenato di molto gli investitori.
Molti credono che Snapchat potrebbe risollevare il morale a tanti che confidano poco sulle startup della Silicon Valley.
Snapchat nasce per puro caso
Oggi Evan Spiegel, 26 anni, il Ceo di Snapchat e Bobby Brown, il cofounder sono nella lista dei giovani più ricchi al mondo di Forbes. Il primo ha un patrimonio valutato quasi 2 miliardi di dollari. L’altro di 1,8.
E pensare che l’app è nata davvero per caso grazie a un loro compagno di studi universitari, Reggie Brown, che si era pentito di aver inviato una foto online: «E se ci fosse un mezzo per far scomparire i messaggi?», si sono chiesti Spiegel e Brown che hanno messo insieme le loro competenze informatiche per creare l’app, usando come ufficio la casa del padre di Spiegel.
Cosa fa Snapchat? Tante cose diverse. Innanzitutto, è un’app che ti permette di scambiare foto e video che vengono cancellati dopo 10 secondi al termine della visualizzazione. È una chat di messaggistica, come WhatsApp, per intenderci, ma le funzioni per le quali impazza tra i giovanissimi sono quelle che consentono di personalizzare foto e video, con didascalie, sticker, emoji, o disegni a mano libera.
Tanta roba, se si pensa che non si contano sulla dita della mano i tentativi di grossi gruppi hitech di acquistare la startup. Tra i primi che ci ha provato, senza successo, Mark Zuckerberg, che si è visto rifiutare un’offerta di 3 miliardi.

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