Daniele Chieffi (Eni): «I giovani ascoltano più le aziende che i giornali»

I social sono più un rischio o un’opportunità per il mondo dell’informazione? È intorno a questo quesito che si è svolto il nostro quarto aperitivo ieri a Roma, la serie di appuntamenti che SocialCom ha ideato per parlare del futuro e dei trend dei social media.
Il dibattito di ieri, “L’informazione al tempo dei social tra comunicazione e giornalismo” ha visto la partecipazione di giornalisti e manager della comunicazione, come Daniele Chieffi, responsabile ufficio stampa di Eni, Carmelo Lopapa, cronista parlamentare per “La Repubblica” e Claudio Velardi, giornalista e saggista italiano.
Se non hai potuto seguire l’evento in diretta, ti riassumiamo i temi e gli spunti di riflessione che sono emersi.
Daniele Chieffi: «I giovani ascoltano più le aziende che i giornali»
Giornalista con un passato in”La Repubblica”, Chieffi ha raccontato che il passaggio da una realtà giornalistica a un’aziendale non ha rivoluzionato il suo lavoro. I social hanno obbligato le aziende a produrre contenuti in una maniera simile a quanto avviene all’interno della redazione di un quotidiano:
«La disintermediazione dei social ha costretto tutti, aziende come testate giornalistiche, a fare un grande bagno di umiltà. I brand hanno dovuto specializzarsi nella creazione di contenuti di qualità, optando per una comunicazione che non è più “dall’alto verso il basso” come in passato. Oggi l’interesse è l’interazione del pubblico perché solo così si costruisce online la reputazione di un’azienda. Per farlo i brand hanno creato strutture non diverse da quelle giornalistiche. Ogni mattina a Eni facciamo vere e proprie riunioni di redazione. Il ruolo del comunicatore e quello del giornalista sono molto più vicini oggi».
Chieffi spiega come è cambiato il ruolo del comunicatore aziendale, che ha molte più responsabilità in un contesto come quello attuale dove i giovani danno più credibilità a contenuti creati da un brand che seguono sui social media, piuttosto che a quelli prodotti da un giornale:
«La stragrande maggioranza dei ragazzi non sa più cosa siano i giornalisti. Per loro il mondo dell’informazione è un panorama alieno. Si informano più con le aziende che con i giornali e questo comporta un’assunzione di responsabilità da parte dei comunicatori aziendali che è simile a quella dei giornalisti».
Carmelo Lopapa: «Così i social rivoluzionano il lavoro del giornalista»
Il cronista de “La Repubblica” offre la sua prospettiva su come i social hanno rivoluzionato il ruolo della stampa e il lavoro del giornalista, negli ultimi anni:
«Il giornale come prodotto collettivo che vende milioni di copie è finito, non esiste più. L’informazione passa altrove sui social media. I giornalisti hanno capito che Facebook non è uno strumento contro cui combattere, ma una realtà con cui scendere a patti. D’altronde i dati parlano chiaro, Repubblica.it ha 11 milioni di utenti mensili e quasi la metà, 5,3 milioni, atterra sul sito attraverso i social media».
Lopapa spiega che questi numeri hanno avuto un impatto sulla stessa natura del lavoro del giornalista che ha spostato le sue attività in mattina, dalle 7 alle 15 perché è in quegli orari che gli utenti si collegano maggiormente sui social:
«Sono cambiati non solo gli orari, ma la natura del nostro ruolo. Oggi i social, con il contatto diretto e costante con il pubblico, ci costringono a un lavoro sempre più attento e di maggiore responsabilità. Anche perché l’impatto di un titolo o di una notizia è molto più forte e, se sbagliato, può comportare dei problemi devastanti sulla reputazione del brand».
Claudio Velardi: «Vince il web, ma l’agenda la dettano ancora i giornali»
Secondo il giornalista e saggista il ruolo dei quotidiani sta mutando, anche se hanno ancora un peso rilevante:
«Sono i quotidiani che continuano a decidere l’agenda degli argomenti, che poi viene ripresa dal web. I giornalisti della carta stampata dovrebbero essere più consapevoli di questo ruolo e seguire le mutazioni che Internet ha imposto. Oggi non ha più senso per un quotidiano inseguire la notizia. La carta stampata dovrebbe al contrario occuparsi di approfondimento e di fare opinione. Se così facesse potrebbe anche aumentare il prezzo in edicola».
Lopapa: «Gli articoli in vendita come brani su iTunes»
Lopapa invece immagina uno scenario diverso in cui i giornali online venderanno contenuti singoli, riprendendo alcune buone pratiche, come quelle messe in atto da The New York Times:
«I contenuti potrebbero essere pensati come un brano su iTunes, venduti singolarmente sulla base del loro valore. Un po’ come fa il New York Times che offre a pagamento con la formula premium inchieste realizzate da un pool di giornalisti. Una logica che lo ha portato a raggiungere 20 milioni di abbonati in pochi mesi».
Chieffi: «Così l’informazione può sopravvivere ai social»
L’ultima parte del dibattito verte su un altro tema molto caldo, la rivoluzione che il mobile ha apportato nelle abitudini di lettura degli utenti che sono più disposti a guardare oggi (da qui la diffusione dei video) che a leggere. Qual è la formula per divulgare ancora contenuti in un contesto che muta così rapidamente?
«La vera battaglia ormai è quella su come catturare l’attenzione degli utenti. Per farlo ci sono due strade che vanno seguite, la prima individuare il pubblico di riferimento e l’altra intercettare i suoi reali bisogni ed esigenze. Solo seguendo queste strategie si potranno creare contenuti che funzionano nel mondo aziendale come in quello giornalistico», spiega Chieffi.
Velardi: «Il futuro dell’informazione è nella qualità»
Il dibattito si conclude con una nota di ottimismo di Velardi. Il giornalismo potrà sopravvivere ai social solo se saprà sposare due parole: qualità e credibilità.
«Di fronte al bombardamento mediatico a cui siamo continuamente sottoposti ci sarà sempre più bisogno qualcuno che possa dirci la verità su un argomento. Alla fine vincerà quel giornalismo che sarà sostenibile economicamente se saprà coniugare la qualità dei contenuti con la credibilità».

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