Socialcom Italia - Dicembre 19, 2016

INCHIESTA SocialCom: Facebook e Google: “Guerra contro le notizie false”. Funzionerà?

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Il tema delle notizie false su social media e motori di ricerca tiene banco da settimane, negli Stati Uniti. Almeno da quando Donald Trump ha vinto le recenti elezioni per la presidenza americana.

Cos’è successo? Diversi opinionisti si sono scatenati contro Facebook, perché non sarebbe abbastanza attento alla circolazione di notizie false sulle bacheche degli utenti. “Il Papa appoggia Trump”, “Hillary Clinton compra armi illegali”: sono questi solo alcuni dei titoli palesemente falsi che durante la campagna elettorale hanno ricevuto centinaia di migliaia di condivisioni.

La pressione internazionale sui più popolari social network e motori di ricerca, ha portato Facebook e Google ad annunciare azioni contro la diffusione massiccia di fake news. Basterà?

I provvedimenti di Facebook

Ieri Facebook ha introdotto una serie di nuove funzionalità per affrontare di petto l’argomento.

Innanzitutto, agli utenti è data la possibilità di indicare come falsi i link che vedono in bacheca: una feature già conferita a numerosi account del social. Quando una notizia viene segnalata ripetutamente, sarà analizzata più approfonditamente da un team specializzato in fact checking, che collaborerà attivamente con Facebook. Ne faranno parte Snopes, Abc, Associated Press, FactCheck e Politifact. Resta da capire cosa accadrà quando le segnalazioni arriveranno da Paesi diversi dagli USA, come l’Italia: verrà creato un team ad hoc per ogni nazione?

Le notizie segnalate come false non saranno però cancellate. Ufficialmente, questa scelta è dovuta al fatto che il social non vuole apparire come un ente censore, che decide autonomamente cosa va bene pubblicare e cosa no.

Agli spammer, infine, a coloro cioè che rilanciano continuamente notizie false per il proprio ritorno economico, il social di Menlo Park destinerà un trattamento speciale: introdotte limitazioni ai domini web parodistici (che ricalcano in qualche modo i siti di informazione ufficiali, come Il Fatto Quotidaino in Italia) e analisi dei vari publisher online, che saranno successivamente segnalate alle autorità di polizia.

Le misure sono sufficienti? Sicuramente è un inizio, ma il fatto che il procedimento di analisi sia così lungo e laborioso e che non è prevista la cancellazione delle fake news riduce di molto l’efficacia del sistema. Anche perché, la viralità di molte notizie false è immediata.

Si poteva agire diversamente? Forse no. Non senza intaccare il delicato equilibrio tra libertà di espressione e l’esigenza di informare i cittadini con verdicità e accuratezza.

Senza arrivare a scomodare Pilato (Quid est veritas, che cos’è la verità? Si chiedeva il giudice romano prima di condannare a morte il Messia), alcuni si chiedono: come si gestiranno le diverse opinioni sulla verità di un determinato argomento? Gli utenti, infatti, hanno visioni diverse della verità di un fatto: come se ne esce?

Di certo, il processo non può essere affidato a un algoritmo, cioè a uno strumento informatico.

Ferlaino (SocialCom): “Difficile per un algoritmo valutare il merito di una notizia”

Esperto di comunicazione digital e social media, Luca Ferlaino di SocialCom interviene nel dibattito sulle nuove feature di Facebook.

«Più che un sistema che agisce contro clickbaiting e fake news, l’aggiornamento di Facebook sembra più un affinamento del potere di segnalazione degli utenti», ha commentato.

«Resta da capire come funzionerà nella pratica. Un post contenente una notizia falsa può, infatti, essere segnalato da moltissimi utenti, ma allo stesso tempo fare il pieno di click, like e condivisioni».

Ferlaino resta in ogni caso scettico sull’efficacia dei nuovi strumenti introdotti:

«In nessun modo, il news feed sarà in grado di analizzare e valutare ogni singolo post nel merito. Il concetto stesso di algoritmo mal si concilia con la verifica della qualità di un contenuto, a mio modo di vedere. Credo che nel prossimo futuro ci ritroveremo con una sorta di bollino, un marchio che Facebook apporrà alle notizie controverse. Un’attestazione che sarà determinata in base al numero di interazioni contrastanti».

Il caso: la bufala dell’antibufala

Secondo Paolo Attivismo, noto giornalista informatico e debunker italiano, la notizia che Facebook avrebbe lanciato ieri un nuovo strumento per rilevare le bufale sarebbe essa stessa una bufala.

«L’opzione di segnalare le notizie false era già stata annunciata da Facebook più di un anno fa, a gennaio 2015, in questo comunicato stampa che usava praticamente le stesse parole e modalità annunciate adesso da Zuckerberg come novità», scrive Attivissimo nel suo blog.

E inserisce, a riprova delle sue affermazioni, uno screenshot del 2015 che ritrae lo strumento di segnalazione un anno fa:

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Come si è mosso Google?

Anche Google pochi mesi fa annunciava provvedimenti sulla materia. Editori e autori di storie verificate, potevano richiedere al motore di ricerca l’etichetta “Fact check”, una sorta di bollino di qualità per gli articoli che compaiono nella sezione notizie. A novembre, Google ha anche introdotto limitazioni sull’advertising dei siti web che pubblicano contenuti ingannevoli. C’è chi però denuncia l’insufficienza delle misure.

Il Guardian ha effettuato una ricerca su Google inserendo la query “Did the holocaust happen”: l’olocausto è avvenuto?

Al primo posto tra i risultati, è comparso un contenuto non verificato sulle “10 principali ragioni per cui l’olocausto non è avvenuto”. Il sito, stormfront.org, appartiene alla galassia neo-Nazi statunitense. Interpellato sull’argomento, uno dei portavoce di Google ha dichiarato che il motore di ricerca non rimuoverà il link:

«Noi non rimuoviamo i contenuti dai nostri risultati di ricerca, eccetto in caso molto limitati: contenuti illegali, malware e violazioni delle linee guida per i web master». Il timore è di essere tacciati di censura.

Il Guardian ha effettuato ulteriori test sull’algoritmo di Google, concludendo che “diffonde false informazioni con un impronta di destra“. In particolare, il dito è puntato sulla funzionalità di autocompletamento. Come ben sa chi utilizza il motore di ricerca, quando si cominciano a digitare delle parole, Google propone in automatico l’aggiunta di termini per completare la query. Ecco una delle ‘prove’ effettuate dal Guardian:

“Il cambiamento climatico è…”, digita l’utente, e il motore di ricerca suggerisce: “è una bufala”, “non è reale”, “è reale”, “problemi”.

Abbiamo provato lo stesso esperimento su Google Italia:

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In questo caso, il problema non sembra sussistere, se non con ‘esiste davvero’, che pare sottintendere un certo scetticismo sul tema.

Chi controlla il controllore?

Al di là dei singoli provvedimenti previsti da social media e motori di ricerca, però, c’è una questione di fondo che preoccupa non poco esperti web e operatori del settore. Chi controlla i controllori? È giusto che siano delle aziende private a stabilire cosa è vero e cosa non lo è?

Come spiegava Marco Castelnuovo, Mobile Editor del Corriere della Sera, a uno degli eventi organizzati da SocialCom alla Festa della Rete, il tema delle fake news va necessariamente “affrontato con Google e Facebook”, ma non esistono soluzioni semplici:

«Adottare un metodo per prevenire la diffusione delle bufale online è complicatissimo, è molto difficile. Io stesso non ho risposte immediate, né vorrei che le avessero Google o Facebook: non vorrei vivere in un mondo in cui è Google a dirci cosa è falso e cosa è vero».

Michael Nunez su Gizmodo ha per esempio suggerito che i nuovi tool di Facebook potrebbe involontariamente diventare uno strumento ‘punitivo’ nei confronti di siti e giornali di stampo conservatore. Allo stesso tempo, c’è da chiedersi se effettivamente un team di esperti in fact checking possa essere completamente indipendente: è possibile rinunciare in toto alla propria visione del mondo per raccontare la ‘verità’ di un fatto? C’è chi ha messo in dubbio questo approccio, già diversi anni fa.

Il fenomeno delle bufale in Italia

Il fenomeno delle bufale online desta preoccupazione non solo Oltreoceano. Con la recente sconfitta del Sì al Referendum costituzionale (ne abbiamo parlato nel nostro approfondimento sulla vittoria del NO), la caduta del governo Renzi e l’insediamento dell’esecutivo Gentiloni, abbiamo visto diffondersi tante, troppe notizie palesemente inventate anche nel nostro Paese.

Alcune analisi hanno dimostrato che la notizia più condivisa alla vigilia del voto era in realtà una bufala: “NOTIZIA SHOCK! Referendum: trovate 500.000 schede già segnate col “SI”. CONDIVIDETE!”. Link che su Facebook ha ricevuto più di 233mila reactions, tra condivisioni, like e commenti.

Nei giorni scorsi, è molto circolata una “notizia” sul neo-capo del governo: “Gentiloni choc: ‘Gli italiani imparino a fare sacrifici e la smettano di lamentarsi”, pubblicata dal sedicente sito di informazione Liberogiornale.com.

Perché agire in questo modo? Secondo quanto ha rivelato BuzzFeed in una recente analisi, esistono delle forze politiche che potrebbero guadagnare facilmente posizioni grazie alla diffusione di notizie false e tendenziose.

Movimento Cinque Stelle Primo In Europa A Diffondere Notizie False E Propaganda Russa“: questo il titolo dell’inchiesta scritta a quattro mani da Alberto Nardelli, ex data editor del Guardian, e Craig Silverman, News Media Editor di BuzzFeed.

La formazione politica creata da Beppe Grillo sarebbe infatti al centro di un tentacolare sistema di diffusione di ‘notizie’ sui canali digitali. Una rete che include, oltre al blog di Grillo e agli account ufficiali del comico genovese, una lista di siti che ne rilanciano la propaganda e le informazioni false o tendenziose.

«Grazie al suo reach e ad un sofisticato sistema di distribuzione di propaganda, il M5S sta facendo dell’Italia un vero e proprio campo di battaglia. In un’Europa già intensamente preoccupata dell’impatto delle notizie false e dell’influenza Russa sui processi democratici», scrivono.

TzeTze, La Fucina, La Cosa, sono questi i principali nodi della Rete a 5 Stelle che, attraverso ben noti meccanismi di clickbaiting e crossposting, diffondono le bufale a milioni di utenti su Facebook.

«Al centro di questa rete di blog e di siti interconnessi è Casaleggio Associati, la società tecnologica istituita dal co-fondatore del partito che è morto nel mese di aprile. L’azienda, che ora è presieduta dal figlio di Casaleggio, Davide, possiede e gestisce sia TzeTze e La Cosa, e il sito di salute, La Fucina, che oltre a condividere messaggi su cure miracolose, ha anche alimentato dibattiti anti-vaccino», scrivono gli autori dell’inchiesta.

Tra le ‘notizie’ messe sotto accusa da BuzzFeed c’è il presunto complotto che coinvolge gli Stati Uniti nel fenomeno dell’immigrazione: a quanto pare, il Paese nordamericano starebbe “segretamente finanziando trafficanti che portano immigrati dal Nord Africa in Italia“. Ancora, il presidente americano uscente, Barack Obama, avrebbe voluto abbattere il regime siriano di Bashar al-Assad “per  creare instabilità nella regione cosicché la Cina non possa avere accesso al Petrolio”.

A preoccupare ancora di più gli analisti è che la fonte di queste ‘notizie’ proviene spesso da siti di propaganda russa, come Sputnik. CIA ed FBI sono convinti che gli hacker del Cremlino siano pesantemente intervenuti nel processo elettorale degli Stati Uniti, diffondendo le email private che hanno affossato le speranze di vittoria di Hillary Clinton: sta succedendo qualcosa di simile anche in Italia?

Segui il denaro

Oltre alla propaganda politica, c’è chi immagina anche un tornaconto più prosaico dietro la galassia italiana dei siti bufalari.

Secondo molti debunker, infatti, la condivisione di notizie ‘choc’ palesemente false è semplicemente un modo per guadagnare con i clic degli utenti e le impression di banner e pubblicità. In Italia, per esempio, c’è chi ipotizza una vera e propria coordinazione tra questo tipo di siti web, in cui vengono inclusi:

  • Ilfattoquotidaino
  • Newstg24.com
  • Gazzettadellasera.com
  • News24italia.com
  • DirettaNews24.com
  • Kontrokultura.it
  • Teknokultura.it

Il più in vista in questo momento, assurto agli onori delle cronache nelle ultime ore per la bufala su Gentiloni, è Liberogiornale.com (messo offline a seguito del clamore mediatico).

Siti anonimi, di cui risulta difficile individuare la proprietà (anche perché i domini sono intestati a siti di comodo).  Se si segue “il percorso dei soldi”, però, si risale alla società Edinet, con sede in Bulgaria, che sarebbe in definitiva il publisher dei banner pubblicitari di tutta la galassia bufalara in Italia.

Riccardo Luna, direttore dell’Agi, ha raggiunto il titolare della Edinet, Matteo Ricci Mingani, 48enne di Albenga, che ha confermato di essere il gestore di molti siti sensazionalistici, che rilanciano notizie false online. Rifiuta però ogni collegamento con il contenuto di tali piattaforme:

«Io sono una agenzia che si occupa di gestire siti per altri. Creo piattaforme WordPress su misura del cliente e il cliente ci fa quello che vuole: non sono responsabile dei contenuti di liberogiornale». Dietro il sito «c’è una persona che ha un contratto con me e a cui io ho noleggiato i server. Sono più di duecento i siti web che sono sopra quei server e non sono mica tutti di bufale», ha dichiarato Ricci Mingani.