Socialcom Italia - Gennaio 31, 2017

Quando la bufala finisce in prima pagina sui giornali (di carta)

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Non è solo online il fenomeno delle bufale (o fake news, o post-verità, o come volete chiamarlo). E non è un fenomeno che riguarda solo piccoli giornali o blog di “controinformazione” (l’abbiamo visto nel caso del Washington Post). Anche in edicola, spesso si leggono notizie fuorvianti, se non vere e proprie bufale. È successo ieri, in Italia.

La museruola dell’Islam

Ecco come titolava, con tanto di box fotografico grande, in prima, al centro della pagina, Libero, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri:

A firma Squad Sbai si legge “L’evoluzione dell’Islam. Dal burqa alla museruola”.

Nel titolo, a pagina 4 dell’edizione di ieri, Libero spiega che si tratta di una “trovata degli estremisti musulmani”, l’ultima “moda” per “azzittire e umiliare le proprie donne. E ovviamente, la “stampa occidentale” resta “nel completo silenzio“.

«Gli estremisti dei petrodollari ci hanno dato l’ennesima immagine dell’orrore a cui sono sottomesse le donne nei paesi dove dominano – o vengono tollerati – i fondamentalisti salafiti e le loro aberranti teorie: una donna in museruola», scrive Sbai.

Nella ricostruzione di Libero ci sono tuttavia una serie di inesattezze e imprecisioni, come spiega il Post. A partire dal fatto che non si tratta di una nuova “trovata”. Ma di una tradizione secolare.

Il boregheh

Partiamo da qui: non si tratta di una museruola. Il boregheh, questo il nome dell’oggetto, è una vera e propria maschera: può essere in ottone, o in stoffa. Ha forme e fantasie diverse e può essere anche molto colorato, a differenza del niqab o del burqa a cui siamo abituati. Vengono indossate dalle bambine a partire dai 9 anni: la prima volta, in occasione di eventi sociali e mondani.

Il fotografo Erico Lafforgue e anche la BBC ne hanno fotografati molti, di tutti i tipi (è possibile guardare le foto qui e qui).

Proprio la BBC spiega che la tradizione appartiene al popolo Bandari da secoli. Ci sono diverse ipotesi sulla sua origine. Per alcuni sarebbe nata durante la dominazione Portoghese di alcune aree del Golfo Persico. Queste maschere richiamavano nella forma gli elmi dei soldati: indossandole, le donne speravano di essere scambiate per uomini, ed evitare quindi il riconoscimento da parte degli schiavisti, che cercavano belle ragazze da soggiogare.

Inoltre, il boregheh servirebbe come protezione per gli occhi e la pelle contro il sole, particolarmente forte nella regione. “Accessori” simili possono essere individuati in Oman, Kuwait e in altre aree della Penisola Arabica.

I Bandari

Come abbiamo accennato, la tradizione di indossare questo oggetto appartiene al popolo Bandari da secoli. I Bandari, dal persiano “genti del porto”, sono un popolo presente nelle regioni costiere del sud dell’Iran e nell’isola di Qeshm. Ed è dalla dislocazione geografica di queste popolazioni che nasce un’ulteriore ipotesi sull’origine del boregheh. Essendo le aree costiere più esposte di quelle interne agli attacchi dei nemici, i Bandari usavano il trucco delle maschere per confondere gli invasori: alla vista di così tanti soldati (in realtà donne “mascherate”), fuggivano via impauriti.

L’Iran è un Paese prevalentemente sciita. E quasi nulla ha quindi a che fare con i salafiti citati nell’articolo di Libero, che sono invece l’ala più “tradizionalista” (per usare un termine morbido) dell’Islam sunnita. In ogni caso, il boregheh è utilizzato sia dalle donne sciite che sunnite.

Molte di loro sono ancora legate a questa antica tradizione, anche se va pian piano scomparendo. Secondo il Daily Mail, infatti, in molte hanno ripiegato sul niqab, che sarebbe più economico.

In ogni caso, il boregheh non è una museruola per “azzittire” le donne: con questa maschera, possono tranquillamente parlare. Come spiega il fotografo francese che le ha ritratte, Lafforgue, «la maschera non impedisce in alcun modo alle donne di godere di una vita sociale o di parlare agli uomini». Tuttavia, la BBC sostiene una tesi diversa: alle donne bandari non sarebbe concesso parlare con gli estranei, soprattutto uomini. Farlo, inoltre, senza coprire il proprio viso è considerato estremamente inappropriato.

In ogni caso, denunciare la mancanza di libertà delle donne, di una popolazione o di un’etnia è un atto nobile. Creare bufale ad arte per ragioni principalmente politiche (nell’articolo di Libero si fa esplicito riferimento alla presidente della Camera Laura Boldrini), non è certamente di aiuto.

Foto: exit 1979