Come i social influenzano politica e referendum costituzionale, il punto di Fabio Bistoncini

Come i social stanno cambiando il dibattito politico e le relazioni tra politica e mezzi di comunicazione, in vista del Referendum costituzionale?
Per rispondere a questa domanda Socialcom ha incontrato Fabio Bistoncini, fondatore di FB & Associati, società di consulenza specializzata in lobby e advocacy. In parole semplici, con la sua attività Bistoncini supporta i clienti a creare un sistema di relazioni allo scopo di influenzare opinioni e scelte delle istituzioni politiche.
La nostra vita è sempre più rapida e scorre velocemente come le notizie sulle bacheche dei social. Come questi ritmi influenzano il suo lavoro?
«Anche noi che ci occupiamo di relazioni istituzionali, lo avvertiamo. Si ha l’impressione di marciare più velocemente su ogni fronte e questo ha un effetto sulla mia attività come sulle altre. L’obiettivo è lo stesso: influenzare il processo disciplinare, ma cambiano le tempistiche e i mezzi».
I social sono sempre di più uno strumento “aggressivo” che influenza le decisioni del governo. Qual è la sua opinione sul tema?
«I social hanno aumentato lo spazio del dibattito pubblico. Se prima una decisione istituzionale era circoscritta tra pochi addetti ai lavori, oggi viene conosciuta e commentata prima e dopo, un po’ da tutti. Questo genera un grande rumore di fondo dove a parlare sono spesso persone che non hanno le competenze giuste per intervenire. Pensiamo a quello che è successo con il terremoto dove tutti si sono improvvisati geologi. Così vengono fuori anche dibattiti un po’ surreali dove si perde quella che è l’autorevolezza della fonte».
Quanto di questo “rumore” poi resta?
«Quando la stampa dice “la Rete è contraria”, sembra quasi che quella porzione rappresenti l’opinione pubblica, la maggioranza dei cittadini, e questo evidentemente non corrisponde a realtà. Spesso è la politica che si scopre debole e si lascia influenzare da tendenze e riflessioni, rispettabilissime, ma che appartengono a una minoranza».
Una volta si diceva “lo ha detto la tv”, oggi si dice “lo ha detto Facebook”…
«In passato avevamo meno strumenti cognitivi per farci un’opinione su un argomento. C’era la televisione, che non è morta tra l’altro, ed era un modo per informarsi. Facebook si aggiunge al mezzo televisivo e ai giornali online. Quindi c’è più varietà. Il vero problema semmai è la pigrizia dei singoli che non usano tutti gli strumenti che hanno a disposizione per sviluppare un pensiero realmente critico su una tematica. E qui ci ricolleghiamo alla domanda di prima: la velocità e questa ricerca forsennata degli aggiornati dell’ultimo minuto, ci fanno perdere di vista cose importanti».
In Italia c’è il MoVimento 5 Stelle che grazie alla Rete è diventato una delle maggiori forze politiche del Paese. Al di là delle opinioni politiche, come giudica questo esperimento?
«Come un tentativo di trovare una strada diversa. La Rete ha permesso al movimento di strutturarsi in modo ibrido. Con un’organizzazione capillare sul territorio gestita dai volontari, e con un’altra verticale sulla scelta delle politiche nazionali. Il modello è fortemente interessante e rappresenta un caso unico in Europa. Ora bisogna capire, ma solo la storia potrà dirlo, se saprà passare dalla fase della protesta, veicolata con la Rete, alla capacità di produrre delle policy».
Per strada si parla molto poco del prossimo Referendum costituzionale. In Rete invece la discussione è più ampia. Possiamo dire che è il primo evento politico elettorale che vive solo sul Web?
«Credo di no. Oltre alla Rete ci sono tante iniziative sul territorio, offline. Credo che sul web le persone non dialoghino su questi temi, ma facciano a gara a chi spara le proprie opinioni con più forza. Il web diventa il canale privilegiato per l’estremizzazione del dibattito, soprattutto gestito da chi comunica le sue idee con messaggi semplicistici».
Il PD di Matteo Renzi, che pure ha saputo sfruttare la Rete in passato, sembra un po’ impreparato ad affrontare questa tornata elettorale dove “il sentiment” sembra orientato verso il “no”. Come lo spiega?
«Da una parte è un po’ lo scotto che paga chi passa da un ruolo politico a uno “istituzionale”. Nel momento in cui sei al potere si riduce anche il tuo margine di manovra. Ma non è una giustificazione. D’altra parte però c’è da dire che l’incapacità del governo di comunicare sulla Rete è venuta fuori anche in altre occasioni, come per la riforma scolastica».
Oggi sul web si cercano notizie sempre più veloci e gratis che mortificano spesso la qualità del prodotto, pensiamo alla crisi dell’inchiesta giornalistica. Come fare a trovare un equilibrio tra necessità di business e qualità dell’informazione?
«È la domanda delle domande. Per capire, tuttavia, bisogna osservare i trend. Le grandi testate provano a fare un mix tra contenuti free e altri, approfondimenti e inchieste, a pagamento. Molti giornalisti pensano sia un peggioramento, ma ogni rivoluzione parte con delle vittime. È un dato di fatto che non può essere negato. Nel mondo editoriale sta avvenendo la stessa rivoluzione che c’è stata in quello discografico, con la morte del cd come prodotto classico e il comparire di modelli di business diversi, con i cantanti che lanciano singole canzoni online e monetizzano grazie anche a servizi di streaming come YouTube o Spotify. La stessa cosa accadrà nel campo editoriale».
Quali sono per lei altri trend interessanti per il futuro dell’editoria?
«Al primo posto c’è sicuramente una maggiore personalizzazione: non leggo più il giornale, ma voglio informarmi solo su un certo argomento o addirittura solo aggiornarmi sulle notizie di un determinato giornalista. In Italia siamo in ritardo perché esistono pochi editori “puri”. Ed è per questo che la rivoluzione è più dirompente nel nostro Paese. Pensiamo agli abbonamenti online. In Italia sono più o meno dei pdf del giornale cartaceo, non c’è paragone con le testate straniere stranieri che offrono in un solo contenitore le notizie che trovi sul sito, sulla carta e sui blog di settore».
Quanto contano i social per il lavoro della sua agenzia?
«La loro importanza oggi varia in funzione alle tematiche affrontate. Direi che su alcune è fondamentale. Su altre di meno. In futuro ancora di più. Il dibattito pubblico tenderà ad allargarsi sulla Rete e i gruppi di interesse avranno bisogno di governarlo su tutti i canali online»

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