Assicurazioni auto: hai un sconto se posti bene su Facebook

Le assicurazioni auto più basse a seconda di quello che posti su Facebook. È questa l’idea di una grossa compagnia assicurativa britannica, la Admiral Insurance, che ha creato un software in grado di analizzare le personalità degli utenti e, in base a questo, decidere come offrire sconti sui premi.
Il progetto doveva essere lanciato in questi giorni con gli utenti che avrebbero potuto decidere se condividere o meno i loro dati sul social media. Ma dai piani alti di Facebook è arrivato l’altolà: «Proteggere la privacy dei nostri utenti è quello che ha più importanza per noi», è la risposta della multinazionale di Menlo Park.
Assicurazioni auto: male se usi troppi punti esclamativi nei post
In un articolo di The Guardian, viene spiegato il funzionamento del software che decide il prezzo delle assicurazioni auto sulla base dei contenuti su Facebook. Il software, chiamato firstcarquote, analizza dati come la lunghezza e i dettagli dei post, frequenza dei punti esclamativi, l’uso di parole come “mai” e “sempre”, e abitudini su come gli utenti incontrano gli amici, in che posto e a che ora. Mentre è esclusa l’analisi delle loro foto.
L’algoritmo è pensato soprattutto per i neopatentati, anche se è aperto a guidatori con più anni di esperienza. E funziona solo sugli sconti dei premi: circa 350 sterline l’anno risparmiate sul costo delle assicurazioni auto dagli utenti con i post più convincenti, secondo i dati e le ricerche psicologiche effettuate dall’azienda.
Stava per essere lanciato, poi Facebook ha detto no
Come spiega la rivista britannica, l’algoritmo era in procinto di essere lanciato. Ma Facebook ha deciso poi di bloccare tutto perché il software sulle assicurazioni auto viola la privacy degli utenti. Eppure come spiega l’azienda, il social network sapeva del lancio del progetto già da diversi mesi con il prodotto in beta da settimane.
Sulla decisione di sospendere il servizio sulle assicurazioni auto hanno pesato anche le proteste di alcune associazioni che si battono per i diritti digitali. Come la Open Rights Group che ha così criticato il lancio dell’iniziativa: «Pratiche così intrusive potrebbero portare a scelte contro alcuni gruppi sulla base di pregiudizi legati a razza, genere, religione o sessualità o perché i loro post in qualche modo li contraddistinguono come non convenzionali».
I responsabili dell’azienda sperano che Facebook torni sui suoi passi e intanto hanno modificato in corsa il servizio che oggi si presenta con funzionalità molto ridotte rispetto a quelle pensate inizialmente.
La guerra dei dati e la privacy
La diffusione dei nostri dati sui social media e sul web sta ponendo già da diversi anni importanti interrogativi. I big data sono infatti una moneta preziosa. Un mercato enorme che secondo alcune stime potrebbe avere un valore di 48,6 miliardi in soli tre anni. Un patrimonio immenso che però è appannaggio di pochi big del tech, come Google, Facebook, Amazon, che hanno miliardi di data sugli utenti che usano i loro servizi e se ne servono per aumentare gli investimenti pubblicitari. Come faremo a tutelare la nostra privacy se tutte le info sul nostro conto sono in così poche mani?

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