Socialcom Italia - Gennaio 30, 2017

Uber sotto attacco sui social network

Spopola su Twitter la protesta contro Uber e Trump

Venerdì 27 gennaio, in uno dei primi atti della sua presidenza, Donald Trump ha firmato un ordine che blocca il trasferimento dei cittadini di altri Paesi negli Stati Uniti. Il provvedimento ha due effetti. La prima disposizione, che resterà in vigore per 90 giorni, riguarda l’ingresso dei cittadini stranieri provenienti da 7 Paesi, considerati come “fucina” del terrorismo islamico: Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen. La seconda disposizione riguarda invece i richiedenti asilo: per i prossimi 120 giorni, l’ingresso negli USA sarà loro vietato.

Com’era prevedibile, l’ordine ha scatenato le proteste delle opposizioni alla nuova presidenza Trump, le associazioni per i diritti civili e i cittadini di credo liberal. Non solo: ha anche messo nei guai le aziende che hanno provato a “cavalcare” il divieto imposto del presidente neo-eletto.

Uber è nei guai

Tutto è partito da un tweet dell’azienda, dall’account della filiale newyorkese. Un tweet apparentemente innocuo:

«Abbiamo fermato l’aumento dei prezzi all’aeroporto #JFK. Questo potrebbe provocare l’aumento dei tempi di attesa. Vi preghiamo di avere pazienza», leggiamo. In un giorno normale, il tweet sarebbe passato quasi inosservato. Ma ieri non era un giorno normale.

Il giorno successivo all’esecuzione dell’ordine di Trump, infatti, le proteste hanno cominciato a diffondersi sia online che offline. All’Aeroporto JFK di New York, in particolare, una folla ha cominciato a radunarsi e a crescere quando è stato bloccato l’accesso a due rifugiati iracheni.

In solidarietà con i richiedenti asilo, e i manifestanti raccolti all’ingresso dello scalo, il sindacato dei tassisti di New York (che ha 19mila membri) scrive un post su Facebook: «Diciamo no a questo bando inumano e incostituzionale». I tassisti della Grande Mela sono infatti in larga parte da Musulmani e immigrati. Ecco perché il sindacato ha deciso di bloccare il servizio da e per l’aeroporto, come forma di solidarietà ai manifestanti e agli iracheni ‘detenuti’.

Proprio durante lo sciopero, è arrivato l’annuncio di Uber. E la cosa non è affatto piaciuta agli utenti.

#DeleteUber

Per molti utenti del social e del servizio di trasporto automobilistico alternativo, il tweet era un sottile riferimento al fatto che per l’azienda non cambiava niente. Se i viaggiatori avevano bisogno di un passaggio in centro, e non trovavano taxi perché in sciopero, non c’era nessun problema: Uber avrebbe continuato a lavorare, bando o non bando.

I tassisti l’hanno letta come una forma di concorrenza sleale. Gli utenti come una forma, nemmeno troppo velata, di appoggio alla decisione Trump. E di certo non ha aiutato il fatto che, tra i consiglieri economici del neo-presidente, ci sia anche Travis Kalanick, CEO dell’azienda californiana. Sta di fatto che è scoppiato il putiferio.

#DeleteUber (cancella Uber) è diventato l’hashtag del momento su Twitter, scalando rapidamente la classifica dei trending topic. Gli utenti hanno cominciato a disinstallare l’app dai propri smartphone, pubblicando gli screenshot sul social network dei 140 caratteri.

Il CEO di Uber contro se stesso

Nelle stesse ore in cui si scatenava il putiferio su Twitter, Travis Kalanick annunciava la sua posizione contraria all’ordine esecutivo di Trump, malgrado la sua collaborazione con l’amministrazione.

«Fin dalla loro fondazione, gli Stati Uniti hanno scelto di offrire la possibilità alle persone di tutto il mondo di venire qui e di fare dell’America la propria casa», ha dichiarato il CEO di Uber.

Con un messaggio su Facebook, ha quindi annunciato una serie di misure per le persone colpite dall’ordine esecutivo.

  • Supporto legale 24/7 per gli autisti che stanno provando a rientrare nel Paese
  • Compensazioni per il calo degli introiti degli autisti
  • Sollecitazione del governo per ristabilire il diritto di viaggio di tutti i residenti statunitensi, indipendentemente dalla propria origine.
  • Creazione di un fondo per la difesa legale, da 3 milioni di euro, che aiuti gli autisti con l’ufficio immigrazione e il servizio di traduzione.

Foto: Mark Warner