Sextortion, quando l’abuso e le violenze sono sul web

Abusi e violenze psicologiche in chiave 2.0. Si chiama sextortion, la forma di abuso online, che consiste nella minaccia di diffondere uno scatto privato hot per indurre la vittima a fare qualcosa, o solo per vendetta o umiliazione.
Le dinamiche seguono le logiche tradizionali della manipolazione e dell’abuso psicologico, ma il supporto della tecnologia apre risvolti nuovi, che spesso non si è ancora pronti a gestire.
Il sextortion e la violazione dell’intimità attraverso i social
L’University of New Hampshire grazie al supporto di Thorn, ha realizzato un studio grazie a un sondaggio online a cui hanno partecipato 1631 giovani fino a 25 anni, che hanno raccontato la loro esperienza con il sextortion.
Circa la metà delle vittime, ha un’età al di sotto dei 25 anni. Il 56% delle vittime hanno dichiarato di aver ricevuto pressioni, minacce e raggiri per forzar loro a inviare le immagini. Più del 40% invece ammette di aver inviato gli scatti intimi volontariamente, al proprio compagno o a qualcuno di cui si fidavano, non immaginando che si sarebbe ritorto a loro danno.
‹‹Quando stavamo insieme, abbiamo avuto una relazione a distanza per lungo tempo. Ci scattavamo entrambi foto sensuali e ce le inviavamo reciprocamente per rafforzare il nostro legame. Non mi ha mai fatto pressioni per avere quegli scatti, ho scelto io di farlo. Mi sembrava una buona idea e non avrei mai creduto che potesse usarle contro di me›› – dice una ragazza di 22 anni agli intervistatori.
Sextortion: le diverse tipologie di molestatori
In alcuni casi, sono gli ex compagni a trasformarsi in molestatori. Minacciano la persona “amata” di diffondere scatti privati e sottoporla all’umiliazione di parenti e amici, per costringerla a non mettere fine alla relazione. Oppure, non tollerando il rifiuto, postano pubblicamente gli scatti solo per vendetta.
In altri casi, le vittime del sextortion non hanno inviato foto al compagno, ma a qualcuno che, con una sapiente tattica di manipolazione, persuade la vittima di voler intraprendere una relazione affettuosa con lei.
Corteggiamento elettronico, promesse seducenti e inganni riescono a convincere le giovani e romantiche vittime a inviare foto hot o ad accendere la webcam (diventando inconsapevole oggetto di screenshot).
Accade pure che la vittima non abbia mai inviato le foto, ma il molestatore è riuscito a fabbricarne alcune grazie ai programmi di editing fotografico. O peggio, hanno avuto modo di accedere al telefono o al computer della vittima (con hackeraggio o di persona) così da sottrarre gli scatti privati. Il risultato sempre lo stesso: la minaccia di rendere pubblica la sua intimità.
‹‹Un ragazzo sulla ventina mi disse che mi amava e mi convinse a mandargli delle mie foto nuda. In seguito, mi sono rifiutata di continuare a mandargli scatti, e lui ha minacciato di creare una fanpage su Facebook con tutte le mie foto intime›› – dichiara una ragazza di 16 anni.
‹‹Ho incontrato questa “ragazza” online, che poi si è rivelata essere un uomo. Ha minacciato di violentarmi e di picchiarmi se non avessi continuato a inviargli foto erotiche. Io non gliene ho mai mandate, ma è riuscito a crearne qualcuna lui stesso›› – dichiara un giovane di 18 anni.
I canali digital più usati per il Sextortion
Il primo contatto da parte del molestatore può avvenire in diversi modi, e le minacce perpetrate attraverso la combinazione di più canali. Secondo lo studio, il mezzo principale utilizzato per agganciare una potenziale vittima di sextortion sono i social network (Facebook, Tagged, Instagram, ecc.) nel 54% dei casi, seguiti a ruota dalle piattaforme di messaggistica fotografica (Kik, Snapchat, ecc.), nel 41% degli abusi. Non sono esclusi le piattaforme che permettono l’utilizzo della webcam (Facetime, Skype, ecc.), 23%, le app di incontri (OKCupid, Tinder,ecc.) per il 9% o l’email per il 12%. Il più delle volte, il molestatore nasconde la sua vera identità. Crea profili fake su più piattaforme e li utilizza per contattare la vittima, o i suoi amici e parenti.
‹‹Lui creò diversi account con più identità e li usava per prendere informazioni su di me, contattando me o i miei amici›› un ragazzo, 20 anni.
‹‹Usava numeri sconosciuti e profili fake per stalkerarmi›› dice una ragazza, 19 anni.
Le conseguenze dell’abuso virtuale nella vita reale
Il sextortion è un esempio concreto di quanto il virtuale può avere conseguenze nella vita reale. A seguito delle minacce, infatti quasi un quarto delle vittime ha avuto bisogno di un sostegno medico e psicologico e il 12% di loro è arrivata finanche a cambiare abitazione.
La maggior parte ha stravolto le proprie abitudini nell’utilizzo dei social e di internet. Più di un terzo ha cambiato le password e le user, ha chiuso gli account, disistallato le app, disabilitato la geolocalizzazione, cambiato email e smesso di accedere ad alcune piattaforme. Solo il 13% delle vittime dichiara di non aver cambiato il suo modo di fruire il digital.
‹‹Ho cambiato le mie user, cancellato la mia mail, e ho ricercato su Google il mio nome per disattivare tutti gli account aperti da adolescente, come Xanga e Myspace›› donna, 19 anni
‹‹Non ero solita impostare la domanda di sicurezza, ma ora ho 4 domande di sicurezza per ogni account social attivato›› donna, 19 anni.
‹‹Non lascio più alcuna traccia sulla rete. Qualora posso usare una falsa identità, lo faccio›› donna 18 anni.
‹‹Ho impostato un allert di Google, così da ricevere una mail qualora venisse creata una nuova webpage a mio nome›› – uomo 18 anni.
Il 52% delle vittime del sextortion intervistate è riuscita a chiedere aiuto ad amici o familiari, che sono intervenuti in loro soccorso. Ma non è così facile. Quasi la metà delle vittime ha scelto di subire le minacce o gestirle senza chiedere aiuto, perché vinti dall’imbarazzo, dalla vergogna o dal senso di colpa (nel 77% dei casi). Qualcuno pensava di finire in guai ancora peggiori, confidandosi con la famiglia, altri invece erano molto sfiduciati di poter ottenere un concreto aiuto.
La responsabilità delle industrie digital
Gli stessi sentimenti e paure hanno impedito a 4 vittime su 5 di denunciare ai siti o alle app utilizzate dal molestatore quanto stava accadendo, perché troppo imbarazzate o perché temevano che potesse scoprirlo. Altri invece hanno evitato perché pensavano che non avrebbe sortito effetti.
E infatti, buona parte degli intervistati ha ammesso che l’assistenza ricevuta si è rivelata inefficace. Alcune aziende si sono rifiutate di rimuovere le immagini o a cancellare gli account dei molestatori, per non incappare in accuse di censura. In altri casi, hanno rimosso le immagini, ma poi hanno permesso al molestatore di postarle di nuovo.
Date le conseguenze che il sextortion ha sulla vita delle giovani vittime, appare evidente che i big dell’hitech, che hanno contribuito a creare i nuovi canali di comunicazione, non possono ora sottrarsi alle nuove forme di responsabilità che ne derivano. Se le loro piattaforme vengono utilizzate per danneggiare terzi, le aziende che monetizzano grazie al loro utilizzo, hanno il dovere morale di intervenire.
Infatti, molto spesso dal punto di vista legale, non c’è una legislazione che possa tutelare e proteggere chi ha subito gli abusi. La legge non è ancora in grado di restare al passo con le dinamiche create dal web. In alcuni casi, paradossalmente, sono state le vittime stesse, qualora minorenni, a rischiare una denuncia per diffusione di materiale pedopornografico.

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