Attenzione al tuo sito, Google potrebbe censurarlo per sbaglio

Un commento di 6 anni fa è la ragione per cui Google ha tagliato fuori dal suo network pubblicitario un sito web americano. A cadere nella tagliola è stato fark.com, sito satirico nato 18 anni fa: una sorta di Reddit, dove gli utenti possono riprendere delle notizie reali, ma alterandone i titoli in maniera sarcastica e ironica.
Cos’è che ha provocato la reazione di Google?
L’accusa di pedopornografia
Come ha spiegato Drew Curtis, il fondatore di Fark, la decisione di Google è nata a causa di un malinteso su una foto presente sul sito web. Foto che non era stata inserita dagli sviluppatori o dagli editor della piattaforma, ma da un commentatore. I commenti, però, vengono considerati da Google come una responsabilità diretta dei creatori e dei gestori del sito, che vengono quindi chiamati a risponderne in caso di violazione delle policy del motore di ricerca.
«Lo scorso ottobre abbiamo subito un duro colpo finanziario perché Google ha per sbaglio identificato un’immagine postata più di 5 anni fa nella nostra sezione commenti come l’immagine di una minorenne – il che costituisce reato. I nostri banner sono stati disattivati per quasi 5 settimane – completamente e totalmente a causa loro – eppure si rifiutano di rimediare».
Anche se il caso è dello scorso autunno, è giunto alle orecchie dell’opinione pubblica americana solo all’inizio di quest’anno, quando Curtis ha pubblicato il post in cui denuncia l’accaduto. Ieri, Business Insider ha ripreso il caso, intervistando lo stesso Curtis.
Dove è nato l’errore di Google? Da un logo, presente sull’immagine “incriminata”, denominato Pedobear (è visibile sulla pagina WikiPedia dedicata all’argomento)
Pedobear è un meme nato diversi anni fa, dove pedo è un’abbreviazione per pedophile, pedofilo. Nato come una sorta di “gioco” (se mai si può giocare su un tema del genere), un modo per deridere le persone che compiono questi atti ignobili o guardano contenuti pedopornografici sul web. Negli anni, però, è diventato una sorta di tacito “segnale” per i pedofili che serve per attrarne l’attenzione su contenuti pornografici illegali che ritraggono minorenni.
Ecco perché Google ha ritenuto di dover eliminare Fark dal proprio network per le pubblicità. Ma in realtà, la ragazza ha testimoniato successivamente di aver avuto 19 anni al momento dello scatto della foto.
L’immobilismo di Google
Come racconta ancora Curtis, successivamente alla messa al bando di Fark ha provato a mettersi in contatto con l’azienda di Mountain View, senza successo. Inizialmente, ai gestori del sito non era per nulla chiara la ragione del ban. Solo dopo una lunga serie di messaggi e risposte con Google, hanno scoperto che il logo Pedobear era il problema, non tanto la foto.
Il processo di identificazione del problema e la comunicazione con l’azienda californiana, inoltre, si sono rivelati molto più lenti e laboriosi del previsto.
«Durante le 5 settimane in cui AdSense era disattivato, ogni singola interazione con Google Policy ha richiesto da 1 a 5 giorni. Un esempio: Google Policy ci ha detto di aver tagliato fuori i nostri ads a causa di un’immagine. Senza dirci dove fosse. Quando ho immediatamente risposto per chiedere dove fosse, la risposta ha richiesto più di 3 giorni», spiega Curtis.
È ovvio che Google ha tutto il diritto di tagliare fuori dal proprio network qualunque sito web desideri. Soprattutto quando ci sono ragioni così gravi. Ed è anche ovvio che la funzione di identificazione degli illeciti possa creare malintesi, se non veri e propri errori. Ma Curtis si chiede: come mai ci è voluto così tanto tempo per risolvere la questione?
Lo strapotere di AdSense
In seguito alla decisione di Google, i creatori di Fark hanno chiesto un risarcimento a Google. Un risarcimento che però non è ancora arrivato. Per i piccoli siti web che “vivono” grazie alle revenue del programma AdSense, un colpo del genere può rivelarsi fatale. Come spiega Business Insider, anche se non si tratta dell’unico network pubblicitario che offre banner automatici per i siti web è di sicuro il più grande.
Secondo i dati di Datanyze, tra i siti web più utilizzati al mondo quasi il 25% ricorre a Google AdSense, mentre l’11,1% ricorre a Google AdWords Conversion:
«Eliminare gli ads di Google è statisticamente impossibile. Se potessi lo farei», spiega Curtis.
Rispondendo a una domanda di NewStatesman, giornale americano che si è occupato della vicenda Fark, un portavoce di Google ha dichiarato che l’azienda «rivede costantemente il comportamento degli editori per capire se è conforme con le policy di AdSense e agisce nel caso di violazioni». Ha poi inviato un link dove contattare l’help centre per informazioni e appelli alle decisioni di Google.
In una seconda dichiarazione, un portavoce dell’azienda ha invece sottolineato come le policy del network siano state create per prevenire che gli utenti entrino in contatto con «contenuti dannosi, ingannevoli o inappropriati».

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