Bufale corrono sul web: i social sono responsabili? Il punto di Luca Ferlaino

Corrono le bufale sul web, malgrado i timidi tentativi di arginarle. Di blog bufalari il web ne è pieno, ma ci sono sempre nuovi attori pronti a invadere questo mercato (qui segnaliamo una nuova chicca del settore, http://web-news24.com/).
Basta dare un’occhiata veloce per capire di cosa si tratta: notizie gonfiate o palesemente false. Titoli che gridano, denunciano e prendono mira politici dei vari schieramenti (tranne quello a cui il sito sembra associato, il Movimento 5 Stelle). I social fanno poi fa cassa di risonanza.
Le notizie (false) entrano nella rete sociale di tutti noi, determinano i pensieri politici di molti e li orientano nella scelta della condivisione dei nuovi contenuti. Facebook, Twitter, sono i canali nelle quali le notizie si amplificano ed è opinione di molti che siano loro la causa della diffusione virale delle menzogne sulla Rete, e a loro si chiedono soluzioni.
Eppure, i social non sono causa ma effetto di quella che è una polarizzazione della società, dove ognuno crede alla storia che gli si vuole raccontare, al di là della verità dei fatti. Se credo (o mi fanno credere) che gli immigrati sono la causa di ogni male, sarò portato a cercare sul web e condividere tutte le news che rafforzano questa mia opinione.
Quattrocchi nella nostra intervista ci spiega il fenomeno etichettandolo come “pregiudizio di conferma”, “confirmation bias”, per il quale i social sono una sorta di “supermercato dell’informazione” dove ognuno acquista quello che sembra più coerente con i suoi gusti, al di là dell’effettiva qualità del prodotto”.
Questa polarizzazione, le cui cause vanno ricercate nelle crescente diseguaglianza economica e sociale, ha avuto sui social terreno fertile e ha cambiato il senso stesso delle piattaforme, causando la scomparsa di un elemento fondante di ogni dinamica social(e): il confronto.
«Ci sono masse intere di persone in Occidente che non hanno più la possibilità di riscattarsi attraverso gli studi, come è avvenuto nel dopoguerra. L’ascensore sociale è fermo. La diseguaglianza è cresciuta. È questo che crea l’enorme frustrazione che viene sfogata online contro tutta la comunità delle élite. Un fenomeno per cui il parere di uno scienziato o di una Montalcini può diventare importante quanto quello di uno stregone qualsiasi», spiega Emiliano Fittipaldi nella nostra intervista.
Sui social non si parla, si grida. Non ci si confronta, ci si accusa, nella migliore delle ipotesi. Ci si insulta, in quella peggiore.
Claudio Velardi sogna una comunicazione nuova sul web, nella quale a far da padrone potrà essere la capacità di dialogare e la scomparsa della propaganda.
«Il dialogo ha forza espansiva, a differenza della propaganda, e può penetrare più agevolmente sulla Rete e sui social che assomigliano sempre di più a tante cittadelle arroccate, fatte di eserciti militanti contrapposti. In un quadro del genere, la forza di penetrazione e il convincimento del dialogo possono risultare molto più utili per la causa che si vuole portare avanti», spiega Velardi.
Un orizzonte bello, ma complesso da raggiungere, con le condizioni di partenza oggi. La polarizzazione della società e il canale di amplificazione che i social rappresentano, hanno concesso a molti professionisti di sfruttare le mutate condizioni sociali e di comunicazione a proprio vantaggio.
Gli interessi sono di natura diversa, quella economica è la preponderante (c’è chi ipotizza una vera e propria coordinazione tra i siti web che sono tra i maggiori responsabili della diffusione di notizie false).
E poi ci sono quelli politici, o dei fini prettamente narcisistici. Solo chi conosce bene i meccanismi sa governare il fenomeno e trarne anche profitto.
L’inchiesta di Buzzfeed a proposito è illuminante. In una sua recente analisi, il magazine online spiega che ci sono delle forze politiche che possono guadagnare facilmente posizioni proprio grazie alla diffusione di notizie false e tendenziose. L’articolo passa in rassegna il Movimento 5 Stelle.
La formazione politica creata da Beppe Grillo sarebbe infatti al centro di un tentacolare sistema di diffusione di “notizie” sui canali digitali. Una rete che include, oltre al blog di Grillo e agli account ufficiali del comico genovese, una lista di siti che ne rilanciano la propaganda e le informazioni che non sono spesso comprovate dai fatti.
Quali sono le soluzioni possibili? Alcuni chiedono a Facebook e Google di agire per evitare che queste notizie escano dal recinto in cui sono create per invadere il world wide web. Ma è una soluzione auspicabile? Marco Castelnuovo, Mobile Editor del Corriere della Sera, pensa di no e lo spiega in una nostra intervista:
«Adottare un metodo per prevenire la diffusione delle bufale online è complicatissimo, è molto difficile. Io stesso non ho risposte immediate, né vorrei che le avessero Google o Facebook: non vorrei vivere in un mondo in cui è Google a dirci cosa è falso e cosa è vero».
Sarebbe infatti pericoloso affidare la risoluzione di problematiche tanto serie a dei privati che avrebbero, tuttavia, grosse difficoltà a fare da censori. Un ruolo che dovrebbero assumere, tra l’altro, senza essere delle società editoriali.
D’altronde come potrebbe mai un news feed, un algoritmo, determinare e verificare la qualità di un contenuto? Il concetto stesso di algoritmo mal si concilia con questa attività.
Facebook e Google non hanno intenzione di muoversi sul fronte delle bufale con soluzioni efficaci. Ed è una fortuna, in fondo. Sarebbe sbagliato se lo facessero, perché qualsiasi idea per combattere le bufale rischierebbe di attivare dei pericolosissimi meccanismi che condurrebbero dritti alla censura. È davvero improbabile, oltre che pericoloso, che i social o Google stabiliscano una sorta di tribunale del topic, in cui verificare di volta in volta ciò che è giusto pubblicare e ciò che non lo è.
Ciò premesso le uniche soluzioni verosimili sembrano quelle, da una parte, di affidare la risoluzione del problema a organismi indipendenti e sovranazionali, i soli capaci di regolare i big del web.
E dall’altra di puntare su un’educazione digitale che parta dalle scuole e offra gli strumenti ai cittadini per riconoscere una notizia fake, prima che la sua diffusione abbia creato troppi danni.
Una strada lunga. Ma che oggi ci sembra una delle poche percorribili.
Luca Ferlaino

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