Emiliano Fittipaldi, ospite #FdR16: “Il popolo può portare a derive pericolose. E Internet ne amplifica le bufale”

Qual è il ruolo dell’informazione nell’epoca dei social network? Se agli albori di Internet il mondo sembrava sul punto di una nuova utopia, in cui la libertà di espressione sarebbe stata finalmente scevra da qualunque contatto con i centri di potere tradizionale, mediale e politico, oggi la situazione sempre completamente mutata. Tra bufale, teorie del complotto e populismi, il mondo dell’informazione non sembra godere di buona salute.
Ne abbiamo parlato con Emiliano Fittipaldi, giornalista d’inchiesta per l’Espresso e autore di libri best seller come Avarizia e Via Crucis, scritto a quattro mani con Gianluigi Nuzzi. Per approfondire questi e altri temi, Fittipaldi sarà ospite di SocialCom alla Festa della Rete #FdR16 con la tavola rotonda “Chi paga le notizie?”. Appuntamento domani, 3 dicembre, a Milano (per saperne di più, clicca qui).
La querelle Eni – Report segna una svolta nel rapporto tra tv e social. È la prima volta che la tv è stata “messa sotto” dalla Rete?
«Messa sotto da un punto di vista mediatico direi di no. L’inchiesta di Report era molto precisa. Certo che Eni rispondendo su Twitter e su Facebook alle accuse ha realizzato un’operazione innovativa che, tuttavia, non ha scalfito la struttura del programma della Gabanelli. Eni avrebbe dovuto rispondere alle domande dei giornalisti. Scegliere i social per avere un confronto diretto con i lettori sta diventando un modo pericoloso per svicolare il confronto con il giornalista che fa l’inchiesta, un’abitudine anche di molti politici. E poi c’è da dire che Eni ha avuto successo perché ha un potere politico ed economico tale da aver organizzato una “claque” sui social. Non credo che una piccola azienda potrebbe avere gli stessi risultati».
Quindi non valuti positivamente questo esempio di “disintermediazione” che i social offrono alle aziende per rivolgersi direttamente al proprio pubblico?
«In linea di massima la disintermediazione può anche essere un bene, ma non in questo caso. Eliminare figure come quelle dei giornalisti che dovrebbero occuparsi della verifica dei fatti non è un’operazione democratica e non è un bene per l’utente finale, che rischia di essere messo di fronte a un puro messaggio propagandistico, non filtrato dai giornalisti, che hanno le competenze per farlo».
Questa mancanza di filtro, come spieghi, non cambia il mestiere del giornalista che dovrà occuparsi sempre di più della verifica dei fatti, in un momento in cui le bufale circolano sul web e determinano anche il risultato delle elezioni, come nel caso di Donald Trump?
«Il problema è che poi il giornalista dovrebbe diventare una sorta di guardiano della Rete. E che poi passerebbe più tempo a verificare le bufale che a cercare notizie vere dal punto di vista giornalistico. Il problema dei social è che fanno circolare una quantità di bufale con grandissima velocità. Il lavoro del giornalista di verifica e controllo non potrà avere frutti che dopo 24 ore. E sarà una risposta più debole rispetto alla bufala che ha avuto tutto il tempo di diffondersi sul web tra milioni di persone».
Eppure alcune bufale, vedi la questione del “complotto dei vaccini”, hanno iniziato a circolare e a costringere alcune regioni, come l’Emilia Romagna a fare delle leggi per escludere dalle scuole i bambini non vaccinati. Questi problemi sono originati dal web oppure il web ricopre semplicemente il ruolo di cassa di risonanza?
«Il problema credo sia più profondo e riguarda la delegittimazione che è avvenuta negli anni di tutte le élite intellettuali. Chi non ha le competenze crea le sue teorie su complotti vari e invece di farle circolare all’interno del bar o in casa, come avveniva un tempo, può farle girare su una vetrina come la Rete, che è la causa stessa di questo degrado. Ancora non si è trovato un equilibrio. Google e Facebook non possono inventare un algoritmo che elimina tutte le bufale che girano, anche perché trasformerebbero Internet in qualcosa di ancora meno democratico».
Serve un’attività di formazione che parta dalle scuole?
«Questo sicuramente. Ci sono masse intere di persone in Occidente che non hanno più la possibilità di riscattarsi attraverso gli studi, come è avvenuto nel dopoguerra. L’ascensore sociale è fermo. La diseguaglianza è cresciuta. È questo che crea l’enorme frustrazione che viene sfogata online contro tutta la comunità delle élite. Un fenomeno per cui il parere di uno scienziato o di una Montalcini può diventare importante quanto quello di uno stregone qualsiasi».
Come lo immagini tra 10 anni il panorama dell’informazione italiana?
«Sopravvivranno la metà dei giornali di carta, o anche meno. I giornali locali e regionali avranno più fortuna di quelli nazionali, perché veicolano informazioni che difficilmente possono essere trovate su altri canali gratuiti. Facebook e Google se vogliono continuare a far circolare contenuti informativi saranno costretti a diventare gruppi editoriali. Questo rischia di essere drammatico per il sistema democratico: due grandi multinazionali, le stesse che oggi detengono il 70% del mercato pubblicitario online, potranno controllare tutta l’informazione che c’è in Rete».
Quali sono i rischi di uno scenario in cui le piattaforme di distribuzione dei contenuti diventano anche editori?
«Sono tanti, ed è già così. Il dramma di Internet è che fino a 15 anni fa si pensava fosse la terra delle opportunità, oggi le concentrazioni economiche e delle compagnie sono diventate molto più forti rispetto al mercato non virtuale. Poche aziende come Google, Facebook, Amazon stanno diventando dominanti, comprano tutto ed eliminano la concorrenza»
La ribellione online verso le élite si rispecchia anche nella politica. L’Austria sta per eleggere un candidato di estrema destra come Norbert Hofer e in altri Paesi, vedi in America con Trump, sembra che il popolo si stia ribellando alla stato attuale delle cose.
«Io sono tra quelli che pensa che il popolo non abbia sempre ragione. Rispetto ogni risultato democratico ma mi rifiuto di plaudire a scelte popolari come quelle che hanno portato all’elezione di un soggetto come Trump. Quello che dice il popolo può portare a derive pericolose. Soprattutto quando il popolo è composto da masse di cittadine incazzate (spesso a ragione), mal informate e facilmente manipolabili».

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