L’ottimizzazione sui motori di ricerca è un lusso?

L’ottimizzazione sui motori di ricerca (o SEO, dall’acronimo Search Engine Optimization) è quell’insieme di attività, tecniche e di marketing, atte a rendere più visibile un sito su portali come Google. L’equazione parrebbe semplice: se ad esempio l’utente cerca “pizzeria roma” e fra i primi risultati c’è il mio portale, con buona probabilità verrà da me a mangiare una pizza stasera.
In realtà le cose sono un po’ – tanto – più complesse di così, sia per via dell’evoluzione dei motori di ricerca, sia per una serie di fattori spesso trascurati, volontariamente o meno, dall’addetto ai lavori medio. Andiamo ad analizzarli.
I fattori indiretti che rendono la SEO un investimento (anche se lucrativo) non per tutti
Piccolo disclaimer: quando poco sopra ho accennato, con coda da scorpione, ai fattori trascurati volontariamente dall’addetto ai lavori tipo, non intendo dire che chi fa SEO, almeno in Italia, è SEMPRE un millantatore o un fuffarolo; accusa che fra l’altro viene spesso da chi addita gli altri di non profumare per coprire il proprio puzzo. Ma che, letteralmente, la media è sempre più livellata verso il basso, probabilmente per due cause:
- Da circa 3-4 anni si è assistita a una vera e propria esplosione della figura del web worker, cosa che ha portato a un’espansione orizzontale di professionisti o presunti tali, senza però una crescita verticale di competenze.
- La composizione del tessuto produttivo italiano, micro e piccole imprese scarsamente digitalizzate che spesso hanno scarsi budget e/o necessitano di poche attività viste le previsioni di crescita modeste e spesso localizzate.
Da questo scenario emergono comunque dei professionisti singoli e delle realtà estremamente competenti, e riconosciute anche a livello internazionale, ma che sono over-dimensionate per il modesto mercato italiano oppure, data la scarsa cultura digitale diffusa, non riescono a spiccare in mezzo a offerte commercialmente – e furbescamente – impostate come i semplici pacchetti del settore della telefonia.
Fermo restando che qualsiasi imprenditore dovrebbe essere in grado, anche se non è sempre così, di valutare il ROI (return on investment) dei servizi di promozione che va a valutare; la difficoltà di far percepire il valore aggiunto della SEO, così come di qualsiasi altra attività del digitale è data anche da:
- La vecchia percezione che il Web è la nuova frontiera. Sono già finiti i tempi in cui Internet era “il futuro”, presumibilmente dallo scoppio della bolla delle dotcom del 2000. Da quel momento in poi, chi ha imparato la lezione, o ne è sopravvisuto, ha monopolizzato la Rete. La comunicazione cambia, certo, ma rimanendo in tema strettamente SEO , i posti nella prima pagina dei risultati, l’unica che veramente conta, ad oggi sono sempre 10 (semplificando).
- La presenza di competitor globali che hanno monopolizzato interi segmenti. Amazon soprattutto per l’elettronica e Zalando per l’abbigliamento, solo per fare due esempi; hanno reso quasi inutile qualsiasi attività sul digitale che non comprenda una strategia atta a essere presenti all’interno dei marketplace degli stessi portali. Esempio pratico: a parità di prodotto ma anche con un posizionamento migliore su Google, cliccheresti su uno sconosciuto e-commerce o su un colosso dove magari hai anche già l’account?
- Una poca diffusa cultura di mercato. Già solo nella mia piccola esperienza, si contano sulle dita di una mano pirata le volte in cui il cliente è riuscito a fornirmi il budget esatto (calcolato sul fatturato dell’anno precedente) da investire in attività di digital marketing. In tutti gli altri casi, è stato un “fammi tu una proposta” che neanche alle bancarelle di Algeri, con tutto il rispetto dei venditori di datteri. La scarsa conoscenza dei propri competitor, della propria offerta (il marketing non fa miracoli se il prodotto non ha valore, non si può aggiungere nulla al niente) completano un quadro che rendono difficile il lavoro dei professionisti estremamente competenti di cui sopra; aprendo al contempo i cancelli delle offerte di visibilità pacchettizzate di poco impatto. A domanda carente, risposta ancora peggiore, dunque.
Quando conviene puntare sulla SEO
Flaiano soleva dire che la situazione in Italia fosse “grave ma non seria” e forse lo avrebbe detto anche in questo caso. In realtà, l’ottimizzazione sui motori di ricerca è SEMPRE un lusso se non è tarata per portare quel famoso valore aggiunto già citato. Ovvero se, alla fine della fiera, risulta essere un costo e non un investimento per moltiplicarne il ritorno.
Va da sé che ci sono segmenti di mercato che per proprie caratteristiche (difficile coinvolgimento social, tematiche scottanti) possono giovare estremamente di una buona visibilità sui motori di ricerca, il teatro asettico dell’incontro fra domanda e offerta. Per fare brevi esempi, che rispettino anche un po’ lo spirito dell’umorista che lavorò a lungo con Fellini, dalle brucole al sesso, ovvero di utensili poco d’intrattenimento e di un settore in cui l’intrattenimento è spesso visto come un tabù.
In altri casi, invece, una strategia sugli altri canali di marketing digitale può essere più lucrativa, ad esempio, il fashion in cui è l’immagine e quindi i social, a farla da padrone. Ultimo disclaimer, con la promessa di approfondire quest’ultima parte: è pur vero che ci sono casi di portali di settore che riescono comunque a guadagnare bene su canali che non sarebbero il loro “habitat naturale”. Del resto, anche il Leicester e la Sampdoria hanno vinto dei campionati, e sono state epopee.
Tu cosa ne pensi? La SEO è un investimento o un costo?

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