FORUM SocialCom: Luca Ferlaino e Tiberio Brunetti sulla comunicazione digital alla luce della battaglia referendaria

Quanto hanno contato i social network nell’ultima battaglia referendaria? La comunicazione digital pervade ormai ogni aspetto della nostra esistenza. E la battaglia politica, elettorale non è da meno. Ma qual è il ruolo che il web e i social media hanno assunto? Brexit, Trump, Referendum costituzionale: l’organizzazione e la trasmissione di messaggi politici sui social assume di volta in volta caratteristiche nuove e peculiari. Ma è possibile individuarne alcune tendenze di fondo.
Dalla struttura piramidale che coinvolge siti web, blog e social network del Movimento 5 Stelle, passando per il messaggio semplicistico e im-mediato di Salvini e Trump, per finire alla comunicazione politcally correct adottata dal fronte più moderato incarnato in Italia da Matteo Renzi e nel Partito Democratico e altrove da Hillary Clinton e David Cameron.
È una riflessione a tutto campo quella che ha coinvolto Luca Ferlaino di SocialCom e Tiberio Brunetti 35 anni, anacaprese, imprenditore e consulente politico, fondatore di Spin Factor, agenzia di consulenza e comunicazione politica integrata, con particolare attenzione al mondo dei social network. Un forum di approfondimento che parte dalla sconfitta di Matteo Renzi all’ultimo referendum per allargarsi alle nuove tendenze della comunicazione politica nel digital e sui social media.
La banalizzazione del messaggio politico
Luca Ferlaino: Innanzitutto chiariamo questo: Renzi non ha perso a causa dei social network, ma sicuramente ha perso la battaglia sui social. E noi abbiamo una teoria sul perché questo è avvenuto: secondo noi Renzi paga l’assenza dal mezzo, assenza propria anche della sua struttura (il Pd). Salvini e i 5 Stelle, invece, che secondo noi sono i veri vincitori di questa battaglia, presidiano la rete in maniera strutturata e organizzata, con una strategia di comunicazione coordinata da anni. Renzi forse si è illuso che, facendo campagna elettorale online negli ultimi 20 giorni, poteva raggiungere un ottimo risultato.
Tiberio Brunetti: Io la penso diversamente, anche perché altri casi recenti dimostrano il contrario. Un esempio sono le elezioni americane. Donald Trump ha impostato una comunicazione sul web inizialmente molto improvvisata, che solo verso la fine della campagna si è strutturata. In realtà, dovremmo guardare più al messaggio che alle modalità comunicative: il minimo comune denominatore tra il messaggio di Trump, la campagna per il Brexit e il fronte del NO al Referendum, è sostanzialmente un rifiuto verso l’establishment. Attraverso i social abbiamo assistito a una minimizzazione di qualsiasi tipo di messaggio: è molto più facile far valere le ragioni del no, che sono molto più essenziali e facili da argomentare, piuttosto che sostenere delle ragioni costruttive. A me la campagna di Renzi – almeno nell’ultimo mese – è piaciuta: sia dal punto di vista dei messaggi, che dell’organizzazione, che della grafica. Ma in questa fase è molto più semplice che prevalgano i messaggi distruttivi.
LF: Secondo noi è sbagliata invece l’impostazione di fondo. Renzi ha fatto una bella campagna elettorale, ma è stata più una campagna pubblicitaria vecchio stile, che mira a costruire il consenso. Oggi però i social non servono per drenare consensi: servono piuttosto a creare un clima nel Paese. I cittadini avvertono problemi, difficoltà, criticità: sono tendenze di fondo a cui ogni figura politica dà la propria risposta. Tendenze che spesso vengono amplificate dagli uomini politici, come succede per esempio con Salvini e l’immigrazione. A differenza di Renzi, sia Trump che i 5 Stelle sono riusciti ad alimentare questo clima nel Paese.
Il clima sociale viene “creato” dalla politica sui social o cavalcato?
TB: Concordo con quello che dici tu: Renzi ha fatto una campagna pubblicitaria ben impostata, ma l’utilizzo dei social network ha spogliato eccessivamente il messaggio, non solo politico. Oggi il tempo che una persona ha per impostare un ragionamento è incredibilmente ridotto: ecco perché è più semplice far passare un messaggio distruttivo. E questo accade a prescindere dal tempo di preparazione e organizzazione di una campagna: Trump si è mosso addirittura dopo Hillary Clinton, all’inizio nello staff c’erano 3 persone. Eppure ha vinto.
LF: In quel caso, però, Trump è stato bravo a cavalcare un clima già costruito da qualcun altro: i neo-con, il Tea Party, personaggi come Sarah Palin, avevano già amplificato determinate tematiche presenti nella società americana. Trump ha avuto la capacità però di presentarsi come elemento credibile di questa tendenza, raccogliendo il lavoro fatto da altri.
TB: Questo è un tema molto interessante. Il dato di fondo è che in diversi Paesi è in atto una crisi strutturale di un certo modo di fare politica che potremmo definire progressista e democratico (Renzi, Clinton, ma anche Cameron). Questo schieramento tende a dipingere una società perfetta, dove vigono le regole del politically correct: è un mondo che nella società non trova più riscontro. C’è quindi un malcontento diffuso che esiste a prescindere dal clima preparato e amplificato sui social dai Farage, dai Grillo e dai Trump di turno.
LF: Sull’analisi sociologica sono totalmente d’accordo. Però a noi interessa capire: quanto incidono i social su questi aspetti? Per esempio: quello dell’immigrazione è un tema che molti cittadini percepiscono come un problema. Quanto la pagina Facebook di Salvini – con la presentazione in maniera violenta di misfatti, crimini e cose che non vanno – contribuisce ad amplificarne la percezione? Allo stesso modo, la struttura piramidale della Casaleggio associati (siti web, blog, pagine e profili Twitter dei parlamentari), quanto contribuisce all’agenda setting, all’imposizione di determinati temi nel dibattito politico sui social?
TB: Seguendo il tuo ragionamento, io credo che questi agenti, Salvini, il M5S, ma anche Farage, non contribuiscano molto alla preparazione del terreno sociale su cui quei problemi poi esplodono. In realtà si tratta di capire chi è il più capace di cavalcare l’onda anti-establishment. L’humus di fondo già c’è, sono i politici come Salvini che seguono la scia.
Televisione vs Social
LF: A questo aggiungo un’altra riflessione. Berlusconi era capace in poche settimane a ribaltare l’esito delle elezioni politiche, utilizzando magistralmente il linguaggio televisivo. Oggi ci sono due differenze sostanziali. Innanzitutto che sui social il consenso non si costruisce in poche settimane e senza organizzazione. E in secondo luogo che la personalizzazione non è più preponderante come prima: sui social non vince la persona, vince il tema, un tema avvertito come urgente da una determinata community.
TB: E forse uno degli errori di Renzi è che ha pensato di “trattare” i social con un linguaggio televisivo. Faccio un esempio: durante le sue dirette su Facebook, c’è una regia che manda in onda altre immagini mentre lui parla. Una comunicazione che tende alla perfezione, quindi. Questo però fa perdere autenticità al messaggio: Salvini fa passare i suoi temi ricorrendo a un linguaggio più vicino all’utente dei social. E in più, Renzi dà l’idea di un’emittente che trasmette un messaggio a dei riceventi, che sono gli utenti. Non si mette allo stesso livello degli interlocutori come invece fanno altri.
Notizie false e tendenziose
LF: Passiamo invece al tema della disinformazione. C’è un interessante articolo di BuzzFeed che fa un’analisi della struttura comunicativa dei 5 Stelle in cui si denuncia un grave problema: e cioè il ricorso al cosiddetto clickbaiting e a della vera e propria disinformazione, diffusa attraverso la struttura piramidale di cui parlavamo prima. Questo diventa un problema perché spesso, è l’analisi di BuzzFeed, la gente finisce per formare il proprio consenso basandosi su notizie tendenziose, quando non apertamente false. È un giudizio che condividi? Ritieni che sia pericoloso?
TB: Condivido e penso sia assolutamente pericoloso. Questo dipende anche dalla debolezza endemica dell’opinione pubblica italiana. Già nel 2001, 15 anni fa, Angelo Panebianco scriveva che il sistema Italia si fonda su 3 debolezze: opinione pubblica, imprenditoria e classe politica. Una debolezza endemica dell’opinione pubblica italiana che oggi è amplificata dall’utilizzo dei social. Un meccanismo per cui le notizie false e tendenziose vengono molto condivise e credute vere anche quando una persona di media intelligenza potrebbe percepirne la falsità. In questo modo le fonti d’informazione attendibili non riescono a incidere e essere autorevoli come dovrebbero e spesso passano come veri dei concetti assolutamente improbabili.
Come se ne esce?
LF: Secondo te Renzi e il fronte cosiddetto moderato, di fronte a questa minaccia come dovrebbero rispondere? Facendo la stessa guerra che fanno loro?
TB: Innanzitutto togliendo alibi e argomenti alla controparte politica: se i 5 Stelle fanno campagna continua contro sprechi e privilegi, occorre intervenire con chiarezza e credibilità, intervenendo in maniera fattiva e riducendo tali privilegi. E poi comunicando il proprio messaggio con grande senso di responsabilità istituzionale.
LF: Tutto questo però come si traduce in termini comunicativi, soprattutto online? Il governo Renzi è intervenuto con una serie di leggi importanti. Iniziative che però non hanno trovato un riscontro in Rete e nelle community di riferimento. Secondo me si dovrebbero creare delle infrastrutture, dei luoghi (virtuali) di incontro, dove le community interagiscono con l’organizzazione e le strutture del Partito Democratico. L’obiettivo? Difendere e rilanciare l’azione del governo. Per esempio: si dovrebbe coinvolgere il popolo che si riconosce nei diritti degli omosessuali per difendere la legge sulle unioni civili, si dovrebbe interagire con il popolo del Terzo Settore, che ha visto una riforma importante condivisa con larga parte degli operatori del comparto, gli operatori del cinema e così via.
TB: Una sorta di MeetUp istituzionale, se vogliamo. Secondo me però c’è una questione di fondo: “La gratitudine è il sentimento della vigilia”. Con questo voglio dire che difficilmente una categoria che ha visto riconosciuti i propri diritti scenderà in piazza (anche virtualmente) per andare a difendere quel provvedimento buono. Non succede in piazza, non succede sui social.
LF: Sì, ma bisogna trovare un modo per comunicare la propria diversità. Renzi non sarà mai come Salvini e i 5 Stelle: occorre quindi portare avanti i proprio temi, la propria idea di futuro, condividendola con quei pezzi di Paese che ne abbracciano i valori di fondo. E questo si fa costruendo anche un’infrastruttura digitale che ti consenta di dialogare con questi strati sociali.
TB: Un tipo di impostazione che però non ti darà un effetto immediato: è qualcosa che i 5 Stelle hanno cominciato a fare 10/15 anni fa, con il blog. All’epoca erano dei pionieri: oggi invece il mondo digital e social è molto più saturo. La struttura che suggerisci può servire per creare una sorta di rete di protezione, che amplifichi il messaggio, però non so fino a che punto possa servire per ripartire velocemente. Il dato su cui possiamo riflettere adesso è: fino a che punto i social oggi riescono a influenzare il consenso politico? Secondo me in questo momento la cosa principale che riescono a fare è amplificare il messaggio e galvanizzare i propri.
Foto: Пресс-служба Президента Российской Федерации

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