Giornali e tv pronti alla sfida anti-bufale, ma temono per gli introiti

Gli editori tradizionali sono pronti a raccogliere la sfida posta dalle bufale online. È quanto emerge da uno studio del Reuters Institute for the Study of Journalism (RISJ), nella sua indagine annuale sul giornalismo digitale (“Journalism, Media, and Technology Trends and Predictions 2017).
Ecco cosa prevedono gli analisti.
La battaglia contro le bufale

Il 70% degli editori intervistati pensa che la crescita delle fake news rafforzerà la posizione dei media tradizionali – Reuters Institute Study of Journalism
«Gli editori vedono nella crescita delle fake news un’occasione per far emergere un giornalismo di qualità, anche se temono il crescente potere delle grandi piattaforme tecnologiche e per le proprie prospettive commerciali», leggiamo in un comunicato diffuso dall’ente. Come è evidente nel grafico, il 70% degli editori tradizionali intervistati crede che la diatriba sulle bufale online finirà per rafforzare la propria posizione.
L’unico modo per contrastarle, ne sono convinti in tanti, è di migliorare la qualità del proprio lavoro giornalistico. E sono già tanti i progetti di fact checking messi in campo da testate e televisioni di tutto il mondo. Un esempio è quello del Washington Post sui tweet di Donald Trump (di cui vi abbiamo parlato qui).
Più investimenti su Facebook
Il rapporto fotografa ancora una volta il rapporto contrastato tra i cosiddetti Over the top, le grandi aziende digitali (Google, Facebook e così via), e le imprese editoriali. Se da un lato i primi sono una fonte imprescindibile di traffico, dall’altro crescono gli attriti.
Quasi la metà degli editori intervistati, il 46%, ha dichiarato di essere più preoccupata del ruolo e dell’influenza che le piattaforme digitali hanno sul proprio lavoro, rispetto all’anno precedente. Solo il 9% ha dichiarato invece di essere più ottimista rispetto al passato.
«L’industria delle notizie ha cominciato a rendersi conto che sta avvantaggiando Facebook e le altre piattaforme a proprio discapito. È tempo che questa relazione sia riveduta», dichiara uno degli intervistati.
Malgrado ciò, tutti sono concordi su una cosa: gli investimenti su social e app di messaggistica saranno sempre più necessari. Per il 78% le spese pubblicitarie più importanti saranno dirottate su Facebook, a seguire YouTube (25%):

Reuters Institute Study of Journalism
Il nodo ricavi
Nel rapporto tra editori e Over the top, a generare tensioni è soprattutto il nodo ricavi:
«Gli editori stanno ricevendo una quota equa per i contenuti che producono? Mentre le imprese editoriali effettuano tagli al personale, Facebook e Google prosperano sulle revenue generate dall’advertising», scrivono gli analisti del Reuters Institute.
Come abbiamo visto qualche giorno fa, il nodo è cruciale. Secondo un report del Digital Content Next, infatti, la quota di pubblicità che finisce a giornali e tv rappresenta appena il 14% del totale delle revenue generate da Facebook, Google & c. Una tendenza che non accenna a rallentare, dal momento che Google e Facebook intercettano insieme il 99% della crescita del digital advertising registrata nel terzo trimestre 2016, negli Stati Uniti:
Forse il 2017 sarà l’anno in cui gli editori proveranno a spingere per cambiare questo meccanismo, eccessivamente sbilanciato sugli Over the top. Nel frattempo, si affideranno soprattutto a forme di pagamento diretto da parte dei lettori online:

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