Google, guerra alle bufale: tagliati fuori centinaia di siti

Nuovo annuncio in casa Google: centinaia di siti web sono stati fatti fuori dal programma di AdSense – il network per la raccolta pubblicitaria online di Mountain View – perché ospitavano contenuti “travisati”. Traduzione: abbiamo cominciato a far fuori i siti bufalari.
Ecco cosa ha annunciato, nel dettaglio, il colosso di Mountain View.
L’olocausto mai avvenuto (e altre bufale)
Come vi abbiamo raccontato a dicembre, Google era stato messo sotto accusa dal Guardian, perché digitando la chiave di ricerca “did the holocaust happen” (l’olocausto è avvenuto?), al primo posto tra i risultati compariva un post di StormFront, sito appartenente alla galassia neo-nazista americana, con un titolo quanto mai esplicito: “Le 10 principali ragioni per cui l’Olocausto non è avvenuto”.
In un primo momento, i vertici dell’azienda avevano declinato ogni responsabilità. «Noi non rimuoviamo i contenuti dai nostri risultati di ricerca, eccetto in caso molto limitati», spiegavano. Salvo poi fare una mezza marcia indietro, annunciando la modifica dell’algoritmo per contrastare questo tipo di risultati.
Il programma AdSense
Google ha una serie di policy per il proprio programma AdSense, il network per la raccolta pubblicitaria sul motore di ricerca. Determinate pubblicità non possono essere inserite sui siti web affiliati: quelle che violano la legge, banalmente. Ma non solo.
Anche le offerte che “travisano” gli utenti o vengono giudicate predatorie sono rimosse dal programma. A luglio sono state per esempio introdotte delle modifiche per bloccare i banner riferiti ai cosiddetti payday loan, prestiti di breve periodo con interessi altissimi. E poi ancora: prodotti illegali, cure miracolose, ads che si aprono anche senza il clic degli utenti e così via.
Secondo quanto riporta Google, nel 2016 sono stati 1,7 miliardi i banner che in qualche modo violavano le policy del programma e che sono stati quindi disattivati. Più del doppio rispetto al 2015.
I siti bufalari “cacciati”
A Novembre, la piattaforma aveva inoltre inserito una nuova policy riguardo le bufale. Quelli che oggi chiama “contenuti travisati”: «Le nuove regole ci aiutano ad agire contro i proprietari di siti web che nascondono la propria identità o ingannano le persone con i loro contenuti».
Negli ultimi due mesi del 2016, Google ha effettuato un’analisi di circa 550 siti sospettati di agire in questo modo.
«Abbiamo effettivamente agito contro 340 di essi perché violavano le nostre policy e quasi 200 editori sono stati fatti fuori dal nostro network in maniera permanente».
Una buona notizia?
Google quindi non rimuove direttamente il sito web dalla propria ricerca, ma smette di partecipare ai guadagni dei gestori. Infatti, se diamo un’occhiata alla stessa query su cui ha polemizzato The Guardian, osserviamo che stormfront.org è ancora al primo posto dei risultati di ricerca:
Questa è una buona notizia? Affidare nelle mani di una multinazionale con interessi globali, la decisione su cosa “merita” di stare su Internet è questione spinosa. Chi può avere il monopolio della verità? Tagliare la pubblicità, d’altro canto, elimina una delle ragioni principali per cui i siti di fake news nascono: acchiappare clic ingannando gli utenti, aumentando le proprie visualizzazioni di pagina e, quindi, gli introiti dai banner.
Foto: Jon Russell

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