Socialcom Italia - Dicembre 5, 2016

Perché Matteo Renzi ha perso sui social

Renzi e il Referendum: gli errori comunicativi online

Si conclude la campagna referendaria e Renzi esce come il grande sconfitto nel Paese reale e in quello virtuale, sulla Rete. Cerchiamo di capire cosa è mancata alla sua strategia per essere vincente e cosa invece ha permesso a Grillo e Salvini di sedere sul carro dei vincitori.

Il “SÌ” troppo pedagogico e istituzionale?

Ciò che è troppo “istituzionale” sembra non piacere sul web dove il sentimento degli elettori (vedi Brexit e Donald Trump) è convogliato verso chi sa più apertamente porsi come anti-establishment.

È un trend di medio periodo che ha visto in tutta Europa il sorgere di movimenti e partiti che, almeno comunicativamente, si promuovono come nuovi rispetto a un ‘vecchio’ giudicato come compromesso, immobile, poco attento alle esigenze dei cittadini.

A questo aspetto va aggiunta la strategia di comunicazione fin troppo pedagogica che è stata assunta dalla sinistra. Come spiega Claudio Velardi in una nostra intervista, «irritante risulta l’eccessiva “pedagogia” del “SÌ” che dà l’idea di voler sempre insegnare qualcosa. Che poi è un errore strutturale della sinistra in genere».

Matteo Renzi, discontinuo e lento

Cos’è mancato a Matteo Renzi e al fronte del “SÌ”? Secondo una nostra analisi sono due gli elementi che principalmente hanno determinato la sconfitta di Matteo Renzi sui social:

  1. Una mancanza di continuità nella comunicazione rispetto alle strategie meglio definite di Grillo e Salvini (come spieghiamo dopo).
  2. La lentezza della macchina organizzativa che si è mossa in modo massiccio solo due settimane prima del giorno del referendum. Il fronte del “NO” si è mosso mesi prima, mentre il fronte del “SÌ” è apparso impreparato ad affrontare l’evento.
  3. Renzi paga lo scotto del suo ruolo istituzionale

«Da una parte è un po’ lo scotto che paga chi passa da un ruolo politico a uno “istituzionale”. Nel momento in cui sei al potere si riduce anche il tuo margine di manovra. Ma non è una giustificazione. D’altra parte però c’è da dire che l’incapacità del governo di comunicare sulla Rete è venuta fuori anche in altre occasioni, come per la riforma scolastica», ha spiegato Fabio Bistoncini nella nostra intervista, puoi leggerla qui.

Perché Salvini e Grillo hanno vinto sui social

I motivi sono diversi. Come sappiamo il Movimento 5 Stelle e le sue strategie online sono parte di un’organizzazione molto definita che parte dalla Casaleggio Associati, la società di consulenza che gestisce il blog di Grillo e una serie di siti web collegati.

Il click baiting è uno strumento che la “galassia comunicativa” grillina predilige molto, ne abbiamo parlato qui. E anche all’interno di questa campagna è stato molto usato, con successo.

Per rendere possibile la divulgazione del messaggio Grillo si avvale di quelli che sono i “foreign fighters” della comunicazione grillina, ossia persone comuni delegate alla diffusione dei messaggi tra le loro cerchie di amici. Questi si occupano di condividere post ufficiali del movimento, fare propaganda o a volte di diffondere vere e proprie bufale sulla Rete, o di commentare i profili di avversari politici, provocando il fenomeno chiamato “hate speech”.

Diverso è il discorso per Matteo Salvini che già da anni adotta una strategia precisa, cavalcando alcuni temi con forza (tasse e immigrazione, a cui si è aggiunto il “no” al Referendum) e sfrutta a pieno le sue ospitate televisive per affermare “la propaganda” che poi finisce sui social media.

Dietro Salvini e le sue strategie c’è Luca Morisi, definito il “Casaleggio” della Lega poiché rappresenta per molti l’uomo che guida la regia del successo di Matteo Salvini sui social (ne parliamo qui).

Tra gli strumenti c’è grande spazio all’automazione: Morisi ha previsto per la sua strategia di comunicazione alcune app, come “Segui Matteo Salvini” e “Social Beast” che permettono di rilanciare il Salvini-pensiero sulla Rete, come sui social.

Gli errori del fronte del NO e una nuova idea di comunicazione politica

Si è finalmente conclusa quella che è stata definita da più parti come una delle peggiori campagne elettorali di sempre. Toni accessi, accuse reciproche, violenza verbale: sui social, soprattutto, ma anche sui media tradizionali, si è scatenato l’istinto alla rissa, allo scontro a tutti i costi, alle accuse personali. E la riforma, il testo della legge è rimasto sullo sfondo.

Anche se vittorioso il fronte del “NO” ha scelto una linea fin troppo aggressiva che alla lunga può anche essere fastidiosa. Poi si presenta come un fronte troppo poco compatto, disomogeneo.

Claudio Velardi auspica la nascita di una nuova comunicazione politica su web e social: «Quello che fa la differenza è la capacità di dialogare. La propaganda è fin troppo facile e ci sono casi evidenti, come Salvini. Invece per creare dibattito e dialogo ci vogliono molte risorse, ma è quello che alla fine ha la meglio. Il dialogo ha forza espansiva, a differenza della propaganda, e può penetrare più agevolmente sulla Rete e sui social che assomigliano sempre di più a tante cittadelle arroccate, fatte di eserciti militanti contrapposti. In un quadro del genere la forza di penetrazione e il convincimento del dialogo possono risultare molto più utili per la causa che si vuole portare avanti».

Una posizione che piace, ma potrà avere successo sul web in cui il politically correct sembra destinato al fallimento?